In prossimità dell'oramai imminente pubblicazione del mio secondo romanzo, dal titolo "Parlami ancora di te", mi accingo a scrivere nel blog un post che ha per nome "della gratificazione nello scrivere". Niente di confortante, tanto per essere chiari. La gratificazione non esiste, o esiste solo in minima misura, giusto per essere "chiari e circoncisi" (come disse un politico).
Ovviamente tale opinione si limita alla mia esperienza personale, e non quindi a quella di altri scrittori - nel senso di persone che scrivono -, ognuno con un proprio mondo post-pubblicazione da raccontare.
Non nego, con l'uscita del primo libro (Tanto fuori dal mondo non cadi), di aver accarezzato il sogno di poter raggiungere una vastissima schiera di lettori; di poter "sfondare", insomma, come si dice in gergo artistico. In fondo, poi, ciò che mi interessava era suscitare interesse attorno ad un particolare vissuto narrato in quello che è un diario autobiografico: confrontarmi con più lettori possibili, scatenare dibattiti, riflessioni, pensieri e ragionamenti moralmente e intellettualmente proficui.
Bene, il pubblico da me raggiunto si è limitato ad un ristretto numero di utenti, indubbiamente invogliati a scoprire da più vicino le vicissitudini tormentate e più spensierate di un loro amico o conoscente.
I più, tuttavia, pur a conoscenza dell'opera pubblicata, sono rimasti coerenti al loro filo conduttore, piantati di fronte all'ultimo libro del tale scrittore famoso, di cui probabilmente non hanno mai letto nulla ma "a me incuriosisce tal dei tali e quest'estate me lo porto sotto l'ombrellone, se proprio devo spendere dieci euro per un libro li spendo per qualcuno che già conosco - o che ha appena scritto il libro che leggono tutti". Poco importa chi sia quel qualcuno, l'importante è aggregarsi al gregge che bruca sempre sul solito prato.
Primo colpo basso per lo scrittore novello.
"Bè", dico al potenziale lettore con fare ammiccante, "potresti leggere qualcosa di diverso dal solito, allargare i tuoi orizzonti, confrontarti con nuove realtà". E gli snocciolo brevemente la sinossi. "Mah", risponde lui scettico, "di cosa parla il libro?" (sapendo già bene che non lo acquisterà mai). "Ecco", faccio un gesto teatrale che sembra voler abbracciare il mondo, "parla di me. O meglio, non è la mia vita, è solo un libro che parla della mia vita", cercando di sminuire il contenuto ma con il fermo intento di incuriosirlo maggiormente grazie a frasi ad effetto, "non è un libro diciamo leggero. C'è anche leggerezza ma vuole essere soprattutto un mezzo per far conoscere realtà nuove a chi non le ha mai sperimentate e al contempo vuole essere un'occasione per riflettere e discutere di temi importanti con chi ha vissuto realtà in qualche modo simili alle mie. Sì, insomma, uno spunto di riflessione". A quel punto la sua risposta è ferma e punta dritta a creare disinteresse: "è che sono sempre preso in mille cose, non ho tempo per leggere, e poi magari in questo momento ho bisogno di qualcosa di più divertente."
Incassi la sconfitta e cambi argomento.
Poi c'è quello davvero incuriosito dal tuo progetto e sembra morire dalla voglia di sapere tutto su di me, su quanto scritto. "Guarda, il prezzo di copertina è di 14,90, per gli amici faccio 10". L'espressione in volto dell'interlocutore cambia improvvisamente come quando veniamo fermati per strada da un tizio che scopriamo essere poi un testimone di Geova. "No, non posso spendere 10 euro (e intanto pensa 'li spendo ma non per te,piuttosto per qualcuno che già conosco, che ha un nome').
E il secondo colpo basso deve ancora arrivare, amici. Sì, perché subito dopo aggiunge: "lo trovo anche in biblioteca?" Capisco allora che cosa si provi quando si desidera ardentemente il male di una persona.
Pensavate non si potesse andare oltre? Mi sbagliavate. Ecco che, affondando la lama nel basso ventre, vi colpisce a morte con un "ma non me lo regali?" Rispondere "il lavoro si paga, caro mio" ti sembra superfluo e ridondante. Resto zitto e, a testa bassa, mi auguro, inutilmente, che con il secondo libro sarà tutto diverso.
Perché non posso negarlo a me stesso: si scrive per sé, ma anche, e forse soprattutto, per gli altri. Nessuno scrittore terrebbe il proprio lavoro in un cassetto.
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